Campagna dell'Esercito Napolitano dal 1 ottobre 1860 fino al cominciamento dell'assedio di Gaeta narrata da un testimone oculare

CAMPAGNA DELL'ESERCITO NAPOLETANO
Guerra si faccia almeno
Alta e gentil di prodi!
Che la inimica sciabola
Anche il giacente lodi!
 
 
Dal Generale Ritucci Comandante in capo l'Esercito di Operazioni, e da taluni uffiziali superiori dello Stato Maggiore stabilivasi, pel primo giorno di ottobre, il piano generale d'un grande attacco, da praticarsi simultaneamente a S. Angelo, S. Maria, e Maddaloni.
Una divisione avente a capo il Generale de Rivera (Gaetano) sarebbe mossa contro S. Angelo, — un'altra comandata dal Generale Colonna avrebbe attaccato S. Maria, — e la brigata estera col Generale de Mechel, sarebbe all'improvviso piombata a Maddaloni.
Verso le 3 della notte, la prima divisione, con due batterie di montagna ed una da campo, nelle due brigate di Barbalunga e Polizzy, usciva per le poterne della Piazza: — quella destinata contro S. Maria, e con due batterie da campo, sortiva per la porta principale, — ordinavasi fuori Capua, — e disponevasi all'attacco.
Al far del giorno la divisione del Generale de Rivera trovavasi in marcia, — e poco appresso impegnava il fuoco con l'inimico, che occupava S. Angelo, e le posizioni circostanti — Fortemente bersagliata dalle ben dirette artiglierie contrarie, progrediva molto lentamente, e verso l'una (p. m.) rendevasi padrone della prima posizione inferiore al paese, dove inchiodava cinque pezzi; e, poiché le forze attaccanti erano state insufficienti a vincere la prima resistenza, per quell'ora e sostegni e riserve si trovavano già impegnate.
Nonpertanto i Garibaldini spiegavano maggior coraggio ed energia, e si aumentavano dismisuratamente in numero: talché quasi impossibile si rendeva ai regi più oltre avanzarsi, e solo una mano più ardita azzardava di penetrare nell'infelice paese, e sotto gl'incessanti fuochi dello inimico che riducevasi sulla cresta del monte, di dove fulminava più terribilmente.
Speravano gli aggressori che dei rinforzi fossero giunti a decidere la giornata- in loro favore, e restavano colà ed in quella guisa, fino alla sera. Ma i desiderati soccorsi non giunsero mai, perché il Comandante in capo aveva avuto l'imprevidenza di stabilir picciole riserve, e farle impegnare prima del tempo. Per cui quelle truppe stanche ed affamate si ritiravano calcando un campo di cadaveri, e nuotanti fra sangue infruttuosamente versato!
La divisione di S. Maria ancor fin dall'alba avanzata si era, ma molto inadattamente alla circostanza.
Erasi male istudiato, e precisato il punto d'attacco, e lungi dal prendere la località di fianco o di rovescio, — lungi dall'essersi praticate delle accurate ricognizioni , onde conoscere il terreno teatro del combattimento, ed in quel caso, la specie di trasformazione fatta subire al paese, nonché  l'estensione ed il potere difensivo del posto, nonché la forza e la disposizione dei difensori; — quella truppa quasi ciecamante mosse prendendo di fronte il paese, bene fortificato, e guernito di ottime artiglierie, ed ancora più messe in ordine profondo, —  facendo poi inoltrare molto le due batterie da campo, che lungi dal prendere posizione e mitragliare l'inimico, tratteneva noi sulla strada nuova presa d'infilata dalle artiglierie nemiche, situate sugli archi semidiruti che sono poco prima di accedere nel paese, e per cui un giovane uffiziale, non appena cominciava l'azione, prima vittima restava di quell'inconsideratezza!
Santa Maria era stata molto fortificata, ed era difesa da giovani valorosi, da giovani che combattevano unicamente per un principio, — per un principio, che, coltivai dal cuor giovanile, entusiasma cosi la mente, che per quel principio in sull'ara s'immolarono sempremai vittime venerande!
Suill'istessa strada di Santa Maria stava il Generale Ritucci col suo Stato Maggiore, di dove emanava gli ordini, e regolava superiormente puranche l'attacco di S. Angelo.
Il Re istesso trovavasi nel campo dove disponeva ed incoraggiava i suoi, i quali alfine mossero, — e quando si furono innoltrati sotto la portata delle artiglierie nemiche, accorgendosi del male che cagionava loro l'erronea disposizione, prestamente fecersi a disporre in ordine spiegato, distaccando dalle colonne di attacco le particolari riserve; e con molto ardimento si avanzarono e tentarono l'assalto. — E già avevano superato gli ostacoli addizionali del terreno esteriore — già l'attacco addiveniva solenne, e tardar non poteva ad essere deciso già di sangue fumava il campo in cui disperatamente pugnavano i Regi, circondati dalla morte — morte era sulle inimiche batterie, morte sotto le tremanti e bersagliate mura di Santa Maria — strage angosciosa e morte dovunque. — Eccidio spaventevole... desolante squallore!
I fuochi nemici eransi alquanto affievoliti: un'ultima resistenza a superar restava, un ultimo sforzo, ed il giglio Borbonico sarebbe riapparso minaccioso sui tetti di Santa Maria, e Francesco II avrebbe forse riacquistato il trono di Napoli! Ma, quell'ultima resistenza non fu superata, quell'ultimo sforzo non si fece ed i Regi, stanchi e scoraggiati, davansi celeramente a ripiegare; mentre il Genio della Libertà sulle batterie nemiche riaccendeva gli animi, ed animava i fuochi, che immediatamente riprendevano la loro intensità.
Nonostante, l'attacco, meno vigorosamente, seguitava fino a sera, in cui giunsero, a mal tempo, poche altre centinaia di uomini, coi quali si ebbe l'audacia di ritentare l'assalto, e taluni penetravano pei dettoli fianchi fin dentro Santa Maria; ma la sorte, che poche ore innanzi arrider voleva ai Regi, indispettita forse, riprendeva a sera il suo malefico influsso, e quella truppa, stanca moltissimo e poco ordinata, si ritraeva, avendo spesp e valore e sangue infruttuosamente.
Ed in quel giorno i Regi, fra l'uno e l'altro attacco riportavano fra morti e feriti non meno di 2000 uomini. Ed ahi! Quanto coraggio, quanto Italiano valore non spiegò in quel giorno da ambo le parti: l'istesso declinante sole a l'ingiusta strage par che accelerato avesse il suo tramonto... e  declinando lasciava alla notte la pietosa cura di covrire col suo manto quel lagrimevole eccidio!
La brigata estera che avrebbe dovuto in quel giorno medesimo attaccare i Garibaldini a Maddaloni, a cui appoggiavano l'ala sinistra, per imprevidenza del Generale Comandante, lungi da trovarsi colà il primo ottobre; vi giungeva il giorno seguente; e e stolidamente commenteva l'altro errore d'impegnar fuoco vivissimo ai Ponti della Valle, che trovava ben fortificati e gagliardamente difesi, e che sostenavasi energicamente dall'inimico, il quale aveva avuto e l'agio e l'accorgimento di concentrare in quel punto la piupparte delle forze che il giorno avanti si trovavano altramenti divise, e sperperate. — Di guisachè gli esteri, dopo lievi vantaggi, ed una fiera carneficina, in cui il Generale de Mechel perdeva il proprio figlie, eseguivano la ritirata.
Dopo l'attacco del primo ottobre, e dopo di essersi commesso dai Regi il grave errore di non attaccare novellamente nei seguenti giorni, preser quelle truppe un'atteggiamento tuttaffatto difensivo: imperocché il Re opinava non doversi in altra guisa praticare, ed attendere che il verno ancorapiù innoltrato si fosse, a grave danno e nocumento delle masse Garibaldine accampate sulla linea di Maddaloni e Capua.
Ma oh quanto vane si erano quelle speranze —  quanto inutili e perniciosi quei progetti! L'alba del giorno 21 fatale ispuntava, e lanciava fra il Volturno e Gaeta l'inatteso segnale di ben tristi giorni, sorgendo inesorabile a determinare la caduta della Borbonica Dinastia.
Subitamente la trista nuova si propagò fra i Regi di avere alle spalle l'esercito Piemontese forte di quarantamila uomini, dei quali la più parte erano stati valorosi ad Inkermann, si erano coronati di allori a Magenta e a Solferino, e che spedivasi dal Piemonte, senza veruna dichiarazione di guerra, onde tagliare la linea di operazioni del Napoletano Esercito — il quale, avvegnaché in forze non minori, nondimeno, avendo digià molto estesa la sua difesa, onde appoggiare le ali sulle piazze di Capua e di Gaeta, non poteva non paventare dell'inimico.
Sopraffatti i Regi da forte preoccupazione, già sentivano isbigottirsi per lo torrente che minacciava d'irrompere, e sentivano dileguar già molte concepite speranze, restando tuttavia ludibrio della sventura sempre lieta di perseguitarli.
Subentrata però la riflessione, e ridestato il militar coraggio, tutti egualmente si disposero a sostenere lo scontro ineguale, ed a pugnare contro coloro co' quali nei campi di Montanara e di Goito in fratellevole alleanza combattuto avevano per l'istessa causa, in tempi che sarebbero di troppo cara memoria, se un vile disinganno non li avesse barbaramente sepolti!
Si aumentarono quindi gli approvvigionamenti di Capua, si stabilirono le guarnigioni, e su tutta la linea fuvvi quel correre, quel lavorare alacramente, e quell'affaccendarsi, che suol precedere un attacco in cui vi è molta probabilità di restar perditore. SERAPO BB GAETA
E nulla trascuravasi difatti, e tutto praticavasi celeramente per la difesa; e la sera del giorno 21 il Re sollecitamente partir faceva da Gaeta tre uffiziali del Genio per la volta di Teano, onde fortificar quella porzione e poi le altre che credute si fossero indispensabili, nonché il quadrivio di Cajanello, per dove transitare dovea I'esercito Piemontese.
Allor trovavasi a Teano la Divisione del Generale Echaniz, che la mattina del giorno 22 occuopava le più importanti posizioni adiacenti al paese, mentre gli uffiziali del Genio decidevano delle fortificazioni a farsi, deliberando d'altra parte, non potersi il quadrivio di Cajanello rendere si forte da sostener quasi il primo impeto dell'inimico, ammenoché non si fosse preferito un combattimento in campo aperto — e questo: 
1. Perché quel quadrivio è nel centro di ben estesa pianura, dove sarebbe stato inutile lo innalzare delle fortificazioni di facile girata;
2. Perché la truppa colà trincerata avrebbe avuto sempre le spalle minacciate dalla parte di Roccamonfina;
3. Perché le forze che prima si trovavano isviluppate fra Capua e Gaeta — avrebbero dovuto ancorapiù isvilupparsi, onde estendersi fino a Cajanello.
Furono queste riflessioni approvate dal Comandante in Capo Generale Ritucci, che cionondimeno stabiliva pel momento a Cajanello la truppa che allor giungeva, e fatta distaccare dal corpo principale dell'esercito, per la difesa dei novelli punti.
E fecersi restare colà bivaccate tutto il giorno, la notte ripiegar facendole sopra Teano — dove con le altre colà stanziate si compose una colonna di circa 14,000 uomini.
Accrescevasi intanto il valor difensivo di Teano, dove tagliando una qualche strada, dove barricandone qualche altra e dove praticando ceppate, e tagliate d'alberi, ed altra sorta di ostacoli addizionali. — Però il giorno 23 trascorrevasi dal comando in capo fra perniciose ricognizioni, ed inutilissime discussioni, di guisaché, se quel giorno un'ardita mano di soldati nemici fosse da Roccamonfina improvvisamente piombata in Teano, narebbe fatto abbassarle suo mal grado le armi.
Né valsero del Solerte Generale Negri le premure per cui ad esporre facevasi il Generale Ritucci il gran periglio, e il danno che avrebbe potuto provenirne da quel tempo inadattamente impiagato, e dalla inutilità di quella stazione, perché, alle instanze del primo, rispondeva il Generale Ritucci con la sua solita freddezza.
Finalmente il giorno 24 quella truppa ripiegar si fece sopra Cascano e Sessa; però il comando in capo dell'Esercito d'Operazioni, per volere Sovrano, assumevasi invece del Generale Salzano, che allor trovandosi al comando della piazza di Capua, veniva per tal ragione richiamato al Campo, mentre il Generale Ritucci recavasi a Gaeta, onde restare alla particolare immediatezza del Re.
E da quel tempo s'intercettarono tutte le le comunicazioni fra Capua e l'Esercito di Operazioni, la piazza isolandosi perfettamente.
E quel giorno medesimo gli uffiziali del Genio recavansi a fortificare le novelle posizioni — ed in ispecie le gole di Cascano dove s'intraprendeva la costruzione di tre batterie, che incrociar dovevano i loro fuochi al di là del viadotto della montagna spaccata, il quale sarebbesi domolito onde ritardare la marcia dell'inimico; ed altri lavori pur s'intraprendevano onde garantire le spalle dalla parte di Roccamonfina.
La truppa intanto eseguiva la ritirata, e la divisione del Generale Colonna, giungendo, disponevasi in prima linea, occupando le gole di Cascano: la brigata del Generale Polizzy,  secondo la nuova Strada costruita da Cascano a Teano stabilivasi, profittando dei paesi S. Marco, Rocci, S. Giuliano, Fontenelle, Carinola, e Casal di Carinola, e coronando di cacciatori le vicine colline. — Le restanti truppe occupavano Sessa e circonvicini, ed il quartier generale si stabiliva in un casamento poco lungi dalla locanda di S. Agata.
Per la notte del 25 i Regi si disponevano ad essere nuovamente attaccati.
Intanto l'inimico, sorpresa avendo e forzata ad Isernia la divisione del Generale Scotti, che trovavasi colà onde effettuare la esazione della fondiaria, facendo prigioniere il generale, — scendeva a Venafro, e rapidamente per la mattina del 25 si avvicinava a Teano, spiccando i suoi ultimi avamposti verso la taverna di Torricella e per la sera occupava Teano.
Quindi riordinavasi colà, e nelle ore di vespro del giorno 26 ad attaccar moveva i Regi sulle alture di S. Giuliano, fra Teano e Cascano — impegnando con la brigata Polizzy un fuoco vivissimo, la quale sostenuta veniva dalla batteria estera, e da una sezione della 4^ batteria da Campo, che inoltrandosi sulla strada giunsero a garantire la ritirata delle truppe sul Garigliano —  le quali non potevano più oltre sostenere le posizioni a cagione dell'imponenza dell'inimico, posizioni, che, sgombrato dai Regi, immantinenti occupate venivano dall'Esercito Piemontese, che per tutta la sera del 26 stabiliva a Sessa il suo quartier generale.
Giunte al Garigliano le Regie truppe, e trovandosi sulla sinistra riva in costruzione una gran testa di ponte, che in altra circostanza sarebbe riuscita vantaggiosa per la difesa, ed in quel caso riescir poteva invece nocevolissima, dovendosi occupar la riva destra — senza indugio cominciaronsi a demolire i lavori del semi-costrutto trinceramento: durante il quale tempo il Campo fu stabilito sulla riva sinistra del fiume, onde meglio eseguire quell'importante operazione.
II giorno 27 però trasferivasi sull'opposta riva, dove si collocavano di rincontro all'inimico non meno di 40 pezzi, dei quali 32 che facevano parte di quattro batterie da Campo, ed altri otto appartenenti ad una batteria da montagna.
Il quartier generale stabili vasi a Scauri, circa quattro miglia al disopra del Garigliano.
Intanto il corpo principale del nemico esercito, restando fra Sessa e Cascano, un'imponente avanguardia ad accampar si recava a circa 3,000 metri dalla riva sinistra del Garigliano, e la quale spingeva i suoi ultimi avamposti quasi fin sotto il fiume. B&B GAETA
Trascorse ancora il 28 ottobre, e la mattina del 29 già quelle paludi da molti anni lavate dell'umano sangue a raccorne in seno novellamente si disponevano: già quei Campi sol calcati dal solerte bifolco — sol tribolati dal duro aratro, addivenivano il teatro della guerra in cui la Sabauda croce abbatter voleva il Borbonico Giglio.
Tutto era silenzio, ed il Cupo aere annunziava quasi la lotta suprema, quando gli avamposti Piemontesi dettero il segno dell'attacco con alcuno fucilate, a cui seguivano immense scariche di una colonna di 8 a 10 mila uomini, che impavidamente avanzavasi verso il fatal Rubicone.
Il Comandante in capo dell'Esercito Regio non trovavasi colà, essendosi assentato per una ricognizione: il Generale Colonna assunse quindi il comando del Campo. Tacquero in sulle prime le Regie artiglierie, onde l'inimico ancora più apprestato si fosse, e quindi spiegarono in una volta i loro fuochi: fuochi infernali, fuochi che avrebbero fatto indietreggiare l'istesso esercito Francese, che dava l'assalto al ponte di Arcole difeso dalle artiglierie ungheresi.
Ma gl'Italiani soldati non la cedono punto ai Francesi, e l'Esercito Piemontese, sotto quella grandine di proiettili, lungi dallo sgomentarsi, coraggiosamente innoltravasi verso il ben difeso Garigliano. — E già quei prodi gli si facevano cosi dappresso, che sol pochi metri li dividevano dal ponte; quando la fanteria Borbonica ra- pidamente lor mosse incontro, obbligandoli a ritirarsi celeramente.
Cessava cosi quel breve ma fiero attacco — e nell'esercito Napolitano si deploravano, fra morti e feriti, solo due centinaia di uomini. Ma fra le vittime di quel combattimento atroce, vi fu il Generale Negri, meritamente Comandante in capo delle Regie artiglierie, che, colpito da due palle di moschetto , stramazzava sul ponte istesso — di dove gli artiglieri il recavano a Scauri ad esalare l'ultimo fiato!
Trascorreva il giorno 30 senza verune incidente — se non che verso sera si accorgevano i Regi che la squadra Piemontese — già molto lungi ancorata — situavasi più dappresso la costa di Scauri, e quasi in direzione della foce del Garigliano, la qual costa giaceva tutta quanta ndifesa, perché sotto la protezione della flotta Francese.
La sera del 31 pioveva dirottamente, ed il vento spirava impetuoso; e, mentre i Regi nel Campo cercavano di mitigare la durezza del verno, e se ne stavano alla spensierata, udirono dei colpi di cannone che partivano da mare —  e poi degli altri ancora, e quindi un cannoneggiar fitto e continuato.
Furono immediatamente soprappresi da grande agitazione, e, non conoscendo la nuova Imperiale disposizione che ricevuto aveva la flotta Francese di lasciar la costa a discrezione dei Piemontesi, si credettero traditi, e fortemente si rammaricavano dell'atroce caso.
Nondimeno restarono tutta la notte sotto i fuochi della squadra Piemontese, ed esposti agli enormi proiettili che lanciavano i Cannoni da 40 e 80 rigati — i quali per altro non cagionavano gravi danni, perché l'uragano non permetteva che fossersi ben diretti allo scopo.
Però qualche ora prima di giorno il Comandante in Capo, reduce da Gaeta, dove era stato chiamato dal Re, onde ricevere novelle istruzioni — spediva l'ordine a quelle truppe del Garigliano, che, quali per la consolare, e quali per la via delle montagne, ripiegate avessero sopra Mola — non potendo più oltre tenere il Campo colà, dove un fitto bombardamento avrebbe potuto cagionar loro infruttuosamente ben gravi danni.
Così quell'esercito, estenuato pei lunghi disagi, e fieramente molestalo da un incalzante bombardamento eseguiva un'altra bene ordinate ritirata, e senza riportarne alcun danno; senonché, un pezzo della quarta batteria da campo veniva dai fuochi nemici smontato, e rovesciato in un fosso portatore della consolare: però il Comandante della batteria, egli stesso soffermavasi, e facevalo posatamente ritrarre e trasportare a Mola!
Ed all'albeggiare del seguente giorno tutte le truppe del Garigliano vi giungevano alfine, dopo 12 ore di bombardamento, e  vi occupavano le le più importanti posizioni, di già fortificate con appositi lavori.
La divisione del Generale Colonna situavasi sulla strada che conduce a Itri, e l'artiglieria da campo che trovavasi con la colonna passava oltre, e recavasi a Fondi, restando a Mola solamente la batteria a cavallo, che già trovavasi colà, e la batteria da campo estera, nonché una di montagna, che allor giungevano dal Garigliano.
E fino al giorno 2 novembre si cercò di accrescere il valor difensivo di Mola, e veramente quelle posizioni, per loro stesse ancora, si eran tali, da poter sostenere un qualunque attacco, che tentato si fosse dall'inimico per via di terra.
Doppo due giorni che la piazza di Capua restata fosse affidata alte proprie forze, una colanna dello Esercito Piemetose, già disceso per gli Abruzzi, recavasi a darle la stretta in tutti i sensi, — però in tal guisa da permettere che tenuto avesse i suoi avamposti a non meno di 1000 metri al di là dello spalto; ed in quel tempo la sua general posizione, era la seguente: il Generale de Cornè ne assumeva il Comando in capo e la guarnigione componevasi di 6 in 7 mila uomini di fanteria, alcune compagnie di zappatori minatori, 1500 uomini di artiglieria, due squadroni di carabinieri ed una mezza batteria da campo.
Vi erano a difesa delle fortificazioni 240 bocche a fuoco di diverso calibro, fra le quali: un obice cannone da 80 — due da 60 — e molti cannoni da 24.
Dall'esatto calcolo delle munizioni che assegnar si potevano a cadauna bocca a fuoco, ritenevasi che la piazza avrebbe potuto spiegare non più di sei giorni di fuoco sopra tutti i punti.
La difesa limitavasi alla cinta principale, e le opere esteriori si guardavano, a solo oggetto di evitare una qualche sorpresa. Vi erano non meno di cinquanta giorni di viveri, soddisfacenti cosi alla guarnigione che agli abitanti, e solamente di danaro vi era notevole deficienza; per cui si obbligarono i proprietarii ad anticipare un semestre di fondiaria.
Gran parte degli affusti trovavansi in cattivo stato, e tutti quanti poi mancavano del corrispondente ricambio. Non ci erano ricoveri a pruova di bombe, onde garantire gli assediati, e le istesse polveriere e riserve erano mal condizionate, ed immensamente esposte. — I parapetti, che il tempo aveva deteriorati, mancavano della debita ispessezza non che dell'ordinaria altezza d'appoggio, da lasciare il petto degli artiglieri interamente scoverto.
In tale istato trovavasi quella piazza, tenuta dal Borbonico Governo nel più riprovevole oblio, — lorquando il Generale della Rocca, Comandante in capo Tesercito assediante, dirigeva un gentile foglio al Generale De Cornè, in cui, esponendogli o meglio ricordandogli le sfavorevoli condizioni in cui la si trovava, e le poche risorse su cui fidar poteva, gli proponeva di rinunciare ad ulteriore ispargimento di sangue. — Ma il Generale Governatore spontaneamente gli rispondeva: «Non poter cedere la piazza, e dover resistere finché le di lei forze non fossersi tuttaffatto esaurite».
Ed ordinava quindi che il consiglio di difesa pronunciato avesse il suo voto al proposito, il quale (benché tardi) risultava quasi contrario alla già presa deliberazione del Generale De Cornè: dapoichè decideva il Consiglio di difesa, che, avendosi riguardo allo stato poco saddisfacente in cui si trovava la piazza, alla proposta del Generale della Rocca, avrebbe dovuto rispondersi, con minore ardimento, e con maggior ponderatezza.
Si cominciarono, nonpertanto, a praticare dagli assediati i latori indispensabili alla difesa, come: traversa per evitare rinfilata dei pezzi, blinde alle polveriere ed altre alle più esposte batterie: mentrechè gli assedianti lavoravano assiduamente per la costruzione di quattro precipue batterie. La prima alla distanza di 1300 metri presso la strada di Santa Maria, di mortari di grosso calibro; la seconda a 1400 metri, sulla strada di S. Tammaro, di cannoni da 12 rigati; la terza a 1600 metri sulla riva destra del Volturno, con cannoni da 4 rigati, di montagna; e la quarta a 2000 metri, e dirimpetto Porta Nuova, ancor di cannoni da 12 rigati.
Però la piazza non lasciava di molestare quei lavori dell'inimico, la di cui lontananza non permetteva che si fosse così fatto da interromperne il corso.
E con lo stabilimento delle nemiche batterie, gli avamposti di Capua, furon costretti di ripiegare fino alle opere esterne.
Il giorno 30 ottobre, verso le 4 (p. m.) le batterie nemiche spiegarono simultaneamente i loro fuochi, contro la piazza, aggiungendosi alle prime descritte certune altre che allora solo si smascheravano.
Non risposero gli assediati in sulle prime, ma poco dopo si davano a spiegare i loro fuochi, che seguitavano intensamente fino a sera in si rallentarono alcun poco: – mentre quelli degli assediarti continuavano sempre, sospendendosi solamente per un'ora verso la mezza notte.
BB GAETA
Durante il bombardamento diverse volte riunissi il Consiglio di difesa, per discutere sulla resistenza della piazza, finché ad unanimità non si decise di dover cedere, per le seguenti ragioni: 
1. Perché la popolazione di 11 in 12 mila anime, nonché la guarnigione, si trovavano intieramente esposte al bombardamento, senza potersi in verun modo garentire per mancanza di casematte; 
2. Perché le mal condizionate polveriere avrebbero potuto facilmente iscoppiare a grave nocumento degli assediati e della piazza istessa;
3. Perché si era affatto sprovveduti di nuove artiglierie a grande portata, onde ismantellare le batterie nemiche, od almeno farle zittire per alcun tempo; 
4. Perché vi era gran deficienza di polvere, giacché molta parte erasi consumata nei giorni precedenti.
Per il che verso l'una (p. m.) del primo Novembre si elevarono le bandiere parlamentari sui bastioni Sperone, Conte ed Olivares, che non furono ben distinte dagli assediati a cagione del cattivo tempo, e per cui fu mestieri spedire al campo nemico un Maggiore di Artiglieria, ad esporre il desiderio di resa.
E la mattina del giorno 2 Novembre, il Generale de Liguoro della guarnigione di Capua, ed il Generale della Rocca, stabilivano una vantaggiosa capitolazione, per cui quella guarnigione usciva dalla piazza con tutti gli onori militari.
Il giorno 3 la truppa di Mola stava in attenzione di essere attaccata — le vedette di cavalleria si erano spinte fino a due miglia al di là dell'abitato, verso il Garigliano — ed a Maranola, che giace quasi a cavaliere di Mola, e da coi ancor temevasi un qualche tentativo dell'inimico — si erano praticate tutte le difese possibili, e vi era un sussidio di quattro compagnie di carabinieri esteri, e mezza compagnia di zappatori minatori.
Oltreché un'uffiziale del Genio aveva già minato a Pontecorvo, dove era stato con poca truppa, il gran ponte, sul quale à corso la traversa che mette sulla consolare di S. Germano, perché l'inimico più difficilmente per Pontecorvo e Roccaguglielma avesse potuto prendere alle spalle le posizioni di Mola; — oppure mostrarsi improvvisamente alle gole d'Itri, quando la squadra Piemontese cominciò il fuoco contro Mola. — Ed in un momento quelle alture ben coronate di cacciatori e difese da ottime artiglierie, che avrebbero potuto arrestare un qualunque movimento tentato si fosse dall'inimico per via di terra, contro un bombardamento per via di mare addivenivano perfettamente inutili.
Senza un sol legno da guerra l'Esercito Regio, perché sua si era o meglio si era stata, quella flotta che circa 4000 metri lungi dal campo isventolar faceva l'insegna Piemontese, qual mai resistenza opporre poteva per via di mare?... Fidente, un'altra volta nella protezione Francese, un'altra volta lasciavasi illudere ed indifesa restava tutta quanta la caste; e per non volersi mostrar diffidente, malcauto una seconda fiata pagava il fio della sua dabbennaggine e della sua mal fondata credulità!
Non è però da meravigliarsene menomamente: era il ramo discendente dell'orbite che descriveva l'infausto pianeta dell'ultimo Regnante della Borbanica Dinastia, che Dio perdoni di Colui, che, giovane e nuovo alle cure dello Stato, lasciar non volle di carezzare e proteggere coloro che umiliati e genuflessi trovava a piè del trono; e che, infidi consiglieri, col di loro egoismo ne scalzavano le instabili fondamenta, e non cessavano di tradirlo financo negli ultimi giorni; — ma non pel bene, o per amore del proprio paese, ch'essi avevano di già mostrato di sconoscere in tempi a loro favorevoli, e che stimar non seppero giammai: ma solo per farsi dell'imberbe Sovrano
Sgabello ai piedi per salir sublime. 
Soffrivano adunque le milizie Napolitane il giorno 3 un bombardamento che seguitò fino alla sera, riportandone lievissimi danni e ritenendo sempre le proprie posizioni.
No vi erano cannoni a Mola di grande portata, onde controbattere l'inimico, e solamente un cannone da 12 rigato, che dirigeva un colonnello di Artiglieria, sfidar doveva i fuochi di un'intera flotta — di un'intera flotta, che pur dovette retrocedere alcun poco, onde evitar le offese dell'audace competitore! 
Tutta la notte si apportarono rimedii ai guasti cagionati dal bombardamento, e si stabilirono puranche sulla costa due obici cannoni da 80, che giungevano da Gaeta.
La mattina del 4 la flotta ricominciava il fuoco ancor più fieramente del giorno avanti, a cui pur rispondevano il cannone da 12 e i due obici cannoni da 80: i quali però, lungi dal cagionare alcun bene ai Regi, richiamavano invece tutti i fuochi dell'inimico su quei punti.
B&B GAETA
Il giorno avanti il Generale Salzano aveva ricevuto la sovrana disposizione di far ripiegare le truppe di Mola sullo stato Romano, quante volte si fosse stato costretto di eseguire un'altra ritirata.
Il nuovo comando però non era bene accettò dal Generale in capo, il quale peraltro, non deviando dai suoi doveri, il comunicava al Generale Bertolini, Capo dello Stato Maggiore dello Esercito Operante, che non trasandava di opporvisi vigorosamente, e per cui fu mestieri di riunire un Consiglio di Generali, onde interrogarli sull'importante proposito.
Tutti formalmente si protestarono contro quell'impolitico ed irregolare movimento, e deliberossi che il Generale Barbalonga sarebbesi recato dal Ministro della Guerra a Gaeta, onde informarlo dalla loro risoluzione.
Così fecesi: però la missione di lui riusciva infruttuosa, giacché il Re faceva sentire, che tutti fossero stati al già disposto; per cui il Generale Bertolini unitamente ad un colonnello dello Stato Maggiore, ponevano in iscritto la già presa deliberazione del Consiglio dei Generali, in maniera ponderata e fortemente ragionata, e spedivanla in quell'istesso giorno al Re, onde avesse voluta tenerla in considerazione.
Ed il giorno seguente giungeva a Mola un inviato del Re, onde far sentire a quei Generali, che la di loro deliberazione era troppo ben ragionata perché non fosse stata lo scopo si tutta la Sovrana ammirazione ma che nondimeno la truppa di Mola ripiegar non potendo sopra Gaeta, perché i mezzi della piazza sarebbero stati insufficienti per altri 15 mila uomini, che lungi dal cagionarle alcun bene le sarebbero invece tornati di grandissima molestia; — necessariamente varcare dovevano la frontiera, e penetrare nello Stato Romano dove si era certo che sarebbero stati ricevuti non solo, ma ben accolti e rispettati.
Molte, e diverse obbiezioni, e difficoltà d'ogni maniera furon rivolte a quell'alto inviato, ed il General Bertolini segnatamente, ma sempre con la debita moderatezza, e valer facendo la ragione, nuovamente a dimostrar si fece la inconvenienza di quel movimento, facendo con molta avvedutezza riflettere:
1. Che la truppa Napoletana non poteva accedere, e restare nello Stato Ponteficio , senza consegnare le armi alla guarnigione Francese, colà residente; 
2. Che fuori del proprio Regno sarebbe mancato tutto che rendesi indispensabile a semplicemente vivere; 
3. Che la soldatesca avrebbe potuto commettere degli abusi, che in estranei paesi sarebbero stati forse mai tollerati — e dei quali i Superiori in generale non valevano, rendersi responsabili — e che avrebbero potuto commettersi a grande dispiacevole discapito del proprio paese, ed in particolare della loro riputazione.
Intanto la squadra Piemontese verso mezzogiorno sospendeva il fuoco già cominciato da cinque ore — forse isperando che i Regi abbandonate avessero le loro posizioni, per le quali, mancato l'appoggio della flotta Francese, rendevasi imperdonabile stolidezza la volontà di seguitare a difenderle.
Nulla per altro erasi ancora stabilito sulla via a battere in ritirata, per il che il Generale Salzano recavasi a Gaeta onde prendere dal Re le debite disposizioni.
Però verso le due (p. m.) la squadra Piemontese osservando l'ostinazione dei Regi, ricominciava più gagliardamente il bombardamento; di guisachè il Comando in Capo dell'Esercito Operante, convinto dell'impossibilità di resistere più oltre, ordinava che cominciata si fosse la ritirata sopra Montesecco avanti Gaeta.
E, mentre i Regi a ripiegar cominciavano, I'Esercito Piemontese celeramente si avanzava alle spalle ed attaccava gli avamposti che non ancora avevano seguiti il movimento; sicché, la ritirata praticavasi sotto il bombardamento per via di mare, e sotto i fuochi delI'Esercito che si avanzava alle spalle.
B&B GAETA
La strada nuova che conduce da Mola a Gaeta h piacevolmente costrutta lunghesso la marina, e, desiosa di godere i vantaggi del monte e del mare, tiene il sinistro lato sul mar Tirreno, mentre sul destro è interamente protetta dai monti laterali. — D'incostante larghezza, in taluni punti si stringe moltissimo — in taluni altri moltissimo si allarga — e tutta serpeggiante rendesi più variata e dilettosa, ma inadatta moltissimo ai movimenti d'un numeroso esercito.
Or la truppa di Mola, bersagliata da tutti i lati — accalcata incredibilmente su quella strada  — dove sì trovavano, e le ambulanze, e i militari carriaggi tutti quanti, ed ogni specie di vetture particolari: e dove di grande ostacolo, si rendeva la batteria di montagna: quella truppa, perfettamente disordinata, si urtava, si mescolava ed ancor peggio, restava sotto i fuochi nemici!
Giorno terribile — giorno inaccettabile certamente dalla memoria di coloro che dovettero assistere a quella scena dispiacente ma pur disonorante!...
Scena disonorante sì, ma non istrana, e non vorrà certamente meravigliare del caso colui, che, conoscendo la storia, mille simili fatti ricorderà: – e i 100 mila Albigesi che fuggivano innanzi ad 80 mila crociati; e gli 80 mila Russi, posti in fuga da un migliaio di Svedesi, – ed i primi soldati del mondo che a Vaterloo fuggivano all'aspetto di pochi Reggimenti Inglesi!!
Delle batterie da campo solamente quella estera trovavasi a Mola, per cui fu incaricato il capitano Févot che la comandava, di collocar due pezzi allo sbocco del paese, onde garantire la ritirata.
Così faceva quel Capitano, ed egli stesso difender volle quel passo, da cui dipendeva la vita di circa 15 mila uomini: egli stesso arginar volle l'imperversante torrente dell'Esercito Piemontese, di già padrone delle posizioni di Mola; ed egli stesso lasciava la propria vita colà dove molte altre voleva salvarne!
Giunse alfine la truppa di Mola a Montesecco, e vi giunse ancora la Divisione del Generale Colonna, che trovavasi sulla strada d'Itri ed il quale aveva pur preferito di ripiegare sopra Gaeta. Trovavasi fra Fondi ed Itri un'altra colonna di circa 12000 uomini con quattro batterie da campo, comandata dal Generale Ruggieri, e destinata a proteggere le spalle dell'intiera linea di operazioni dalla parte delle gole di ltri: la quale non potendo più oltre restare colà dove sarebbe stata certamente attaccata, senza frutto veruno, disponevasi a lasciar quelle posizioni.
B&B GAETA
Avrebbe potuto prendere la volta degli Abruzzi, come recar si poteva nello stato Romano!
Quale delle due strade preferir doveva la colonna Ruggieri?
Se quella doveva degli Abruzzi, gittata sarebbesi in una contrada tuttaffatto distaccata dal comando in capo dell'Esercito di Operazioni; si sarebbe cioè allontanata meglio divisa dal centro delle risorse, ed avrebbe quindi dovuto procacciarsi da vivere per via di elemosina oppure per via di saccheggio.
Vagando di paese in paese, di provincia in provincia come un'orda di barbari, 12000 Napoletani, 12000 figli di Marte, sarebbero in poco d'ora addivenuti 12000 seguaci di Polipemone da Pausania!
Dunque sembra che la colonna Ruggieri batter non poteva, batter non doveva la via degli Abruzzi.
Dalla mente troppo picciola del Comandante si credette, che l'unico e savio consiglio si era di passar la frontiera nostra, e ridurre i suoi in sul Ponteficio suolo!
Per cui quella truppa, stanca, abbattuta, e seminuda giungeva a Terracina. Preferiva adunque al proprio paese di refugiarsi in estranea terra: fuggiva dai suoi concittadini, e fra le braccia si affidava di straniera gente...! Ma, se quella truppa fuggiva dal proprio paese, nol faceva forse perché il paese erasi mostrato verso di lei sempre avverso, e poco generoso?... Han forse qualche volta tentato i Napoletani , di far del bene ai Regi ed indurli così, e dolcemente, ad esser loro compagni nella loro causa?
B&B GAETA
Poco dopo giungeva pur colà il Generale Piemontese De Sonnaz, con proposta di capitolazione per quella colonna, e mercè la quale, senz'andare più oltre, sarebbe invece pacificamente rientrata nel Regno, evitando di rimanere per altre terre, dove si ha ancor meno l'abitudine di compiangere l'altrui sventura! – dove si ha meglio il costume di ridere sulle altrui miserie!!
Accettava di fatti il Generale Ruggieri la proposta di capitolazione, quale ancora di salvezza, ma quando fra le condizioni si ebbe di dover mettere a discrezione dell'inimico i battaglioni esteri che formavano parte della sua colonna — quando egli considerò che quella legione che alla fine aveva corso gl'istessi pericoli del resto della truppa, in quel momento trovavasi interamente affidata alla napolitana militare generosità, allora l'animo di quel Generale, sotto razione di una lotta fierissima, si trovò in un momento di decisione terribile, ed in cui prevalse la generosità!
Cosi quella colonna preferiva di restare nello Stato Romano, e consegnare le armi alla truppa Francese.
Forse biasimar si deve la risoluzione del Generale Ruggieri; però noi ci crediamo troppo deboli per pronunciare il nostro parere e lasciar vogliamo agli storici di giudicare sull'importante caso: agli storici, che potranno col senno maggiore, ed in tempi in cui si godrà forse la calma dalle lunghe e lagrimevoli lotte usare nello scrivere tutta la giustizia che richiede la loro penna. B&B GAETA
Le truppe che da Mola ritirate si erano sopra Montesecco, si riordinavano colà verso sera e bivaccavano, appoggiando l'ala destra del campo sugli spaldi di Gaeta e poco appresso, ma nella stessa notte, spingevano gli avamposti fin sul monte Apratino.
B&B GAETA 
E cosi restavano ad un rigoroso bivacco, dove mancavano financo le legna per fare i fuochi, fino al giorno 9, in cui si vide un picciol corpo dell' Esercito Piemontese defilare sul monte Conca, ed il quale avanzavasi per semplice ricognizione.
Il giorno 11 però l'inimico pei monti Torto, S. Agala e S. Maria della Catena, piombava sull'avanguardia dei Regi, con la quale sosteneva un vigoroso attacco senza però discacciarla dalle sue posizioni.
Ed alfine il giorno 12 quella truppa di Montesecco composta di circa 11000 uomini, giacché il resto per Sovrana disposizione il giorno 5 per la vìa di Sperlonga recata si era nello Stato Romano, ottenne di lasciare il campo di Montesecco, il quale, scoverto da tutti i lati, si rendeva immensamente micidiale — ed ottenne di entrare definitivamente nella piazza.
Così l'Esercito Napoletano, dopo una serie continuata di movimenti retrogradi, da Marsala, menomandosi di giorno in giorno come l'esercito di Wurmser che distruggevasi sotto le mura di Mantova, nelle poche vestigia, riducevasi sui bastioni di Gaeta, a sostenere le ultime speranze di una Dinastia, estinguentesi sotto il peso formidabile di un destino, che in sette mesi mostrava al mondo attonito, aver saputo abbattere una Monarchia che stabile si credeva pel principio di leggittmità.
Napoli iì di 7 aprile 1861. 
B&B GAETA
 
 
 

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